Pensione di reversibilità all’ex coniuge: quota da calcolare tenendo conto anche dell’assegno divorzile
Necessario che l’attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell’istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto

In tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all’ex coniuge divorziato, a quest’ultimo spetta un quantum che non deve necessariamente corrispondere all’importo dell’assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in detto importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l’entità dell’assegno divorzile, in modo tale che l’attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell’istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto. Questo il principio di diritto fissato dai giudici (ordinanza numero 5839 del 5 marzo 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame l’istanza con cui una donna ha citato in giudizio la seconda moglie del suo ex marito, oramai defunto, e l’INPS per vedersi riconosciuto l’80 per cento della pensione di reversibilità dell’ex marito e, comunque, una somma non inferiore a 315 euro mensili. A sostegno di tale richiesta, la donna ha richiamato la durata del matrimonio – quasi quarant’anni –, ritenendo di avere perciò diritto ad una quota di pensione più elevata rispetto a quella spettante alla seconda moglie del suo ex marito, il cui matrimonio è durato solo cinque anni. Inoltre, ella ha osservato che in sede di divorzio le è stato riconosciuto un assegno divorzile pari a 315 euro mensili, e, a suo parere, è equo che lei possa godere di una quota di pensione pari ad almeno tale importo. Per fare chiarezza, i giudici ribadiscono che, ove l’ex coniuge e il coniuge superstite abbiano entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, la determinazione della quota spettante a ciascuno di essi deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica dell’istituto, quali l’entità dell’assegno riconosciuto al coniuge divorziato, le condizioni economiche di entrambi e l’eventuale convivenza prematrimoniale. In questa ottica, poi, il principio secondo cui l’entità dell’assegno non costituisce un limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità non comporta, sanciscono i giudici, che l’entità di tale assegno non debba essere in alcun modo valutato, essendo, anzi, la considerazione dello stesso fondamentale per consentire l’esplicazione, nella concreta fattispecie, della funzione solidaristica propria dell’istituto, volto a sopperire alla perdita del sostegno economico dato in vita dal lavoratore deceduto.